Solo gli stupidi non cambiano idea…

di | 7 Luglio 2021

Cambiare idea fa parte della vita, sia chiaro, ma alle volte è anche necessario spiegarsi pubblicamente, quando si fa un cambiamento importante.

Ho per anni sostenuto la tesi della Programma 101 come primo personal computer.

Ma, ad una più attenta analisi e dopo aver approfondito, grazie agli studi, varie questioni collegate ho cambiato idea: le macchine della famiglia della P101 non erano personal computer.

Comunque, c’è un gran merito…

I calcolatori da tavolo hanno avuto un importante ruolo nel rendere desiderabile avere per aziende, laboratori, fabbriche e scuole degli strumenti informatici a propria disposizione e, probabilmente, senza di essi, sarebbe stata molto più ardua la transizione dai grandi elaboratori agli home computer e PC IBM.

La Programma 101 fu, tra essi, quella che ebbe più successo a livello commerciale e restò in uso, presso alcune istituzioni, fino a metà anni ’70. Soprattutto, lanciò il filone anche tra altre grandi aziende come HP, che produsse calcolatori da tavolo di alta qualità, guidando l’innovazione nel settore fino a quando i calcolatori da tavolo vennero resi obsoleti dal microprocessore che rese possibile avere veri e propri mini-elaboratori sul proprio tavolo, a metà anni ’70.

Insomma, è ben probabile che se nessuno nei laboratori di Borgolombardo ci avesse pensato sarebbe esistito qualche calcolatore da tavolo di qualche piccola azienda americana, senza grande successo, e che per la miniaturizzazione avremmo dovuto aspettare un cinque anni in più.

Ma tra calcolare e fruire c’è un mondo…

Un calcolatore da tavolo, nomen omen, è un computer che fa calcoli matematici (e qualche volta poco altro) in modo automatizzabile. Un’enorme comodità e, come dicevo, rese normale avere un computer alla scrivania.

Ma prima dell’home computer, per l’utente che non aveva accesso a un grande elaboratore, non c’era un vero e proprio “collegamento” tra il proprio computer e lui. Semplicemente accendeva la macchina, inseriva la cartolina magnetica col programma che gli serviva, metteva i dati e lì era finita.

Se un’azienda avesse avuto cinque Perottine – una in ufficio, due in laboratorio e due in cantiere – un ingegnere avrebbe potuto farsi il programma X sulla Perottina dell’ufficio, spostarsi in laboratorio e fare dei calcoli e poi mostrare i risultati al capocantiere con la P101 del cantiere.

Un po’ come col grande elaboratore si chiamava, si dava il problema e si otteneva la risposta, senza particolare interesse per il come e il quando, con i calcolatori da tavolo era così: bastava averne uno e si poteva fare ciò che si doveva.

Ma, come ben saprà chiunque, un personal computer è ben più che ciò: su un personal computer si salvano file propri, c’è appunto un legame… personale.

Con i calcolatori da tavolo questo legame non c’era: si usufruiva della potenza di calcolo e non dei dati contenuti all’interno, dato che quasi sempre nemmeno esistevano.

Ciò era, per vari utenti, anche la normalità sui grandi elaboratori.

A mio parere, però, questo legame personale tra utente e macchina è ciò che definisce effettivamente il personal computer, tant’è che il grande passo che fece l’home computer “personal” fu l’introduzione del floppy, che rendeva più facile lavorare coi file e averne di “personali”, non limitandosi a qualche cosa salvata su cassetta.

Fu, ad esempio, il passo che rese possibile creare virus informatici: non che non ne esistessero per gli home computer, ma erano una rarità proprio perché la persistenza era minore rispetto ai sistemi che usavano un DOS (che, per la cronaca, vuol dire Disk Operating System) e avevano un disco su cui tenere questo virus, copiandolo in tutte le successive interazioni con dischi e altri file.

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