Per ragioni che vi racconterò più avanti (un software molto stupido, in sostanza) ho avuto occasione di reinstallare il Raspberry “principale” e ho scelto di cogliere l’occasione per passare a Ubuntu Server.
Onestamente, non linciatemi, ma per i server preferisco Debian classico rispetto alla sua più nota derivata: è generalmente molto più semplice da gestire e, specie per i Raspberry, esiste anche molta più documentazione. Ho scelto però Ubuntu per una ragione principale: è a 64 bit.
RPi OS, infatti, è disponibile in versione stabile solo a 32 bit e, in effetti, solitamente i Raspberry non beneficiano particolarmente dei 64 bit. Però, usando io Docker abbastanza spesso, mi trovo limitato dalla scelta di ARM a 32 bit, mentre per ARM a 64 bit c’è molto più materiale.
Alla fine sono abbastanza simili da non rendere particolarmente ardua la manutenzione di un RPi con RPi OS e uno con Ubuntu, né il cambio di OS mi obbliga a reimparare chissà che cosa.
Il sistema è già pronto all’inserimento della SD e avvia appena si usa apt gli unattended upgrades, quindi bisogna attendere un po’ prima di poter installare il proprio server.
Una volta fatto, installo PiHole, installo PiVPN (che rileva l’installazione di PiHole e fa dei tweak comodi, ad esempio identificando i vari collegamenti VPN col loro nome in PiHole) e installo Docker, modificando la configurazione del server LAMP così da usare MariaDB in versione ufficiale che per arm64 c’è.
A quanto pare Ubuntu Server si offende se tocchi la configurazione di lighttpd, quindi lascio PiHole sulla porta 80 (tanto è in un certo senso il servizio principale del server) e in pochi minuti – grazie Docker! – ho di nuovo il mio server ma sulla porta 8080.
Installo anche Webmin, ossia un’interfaccia che permette di gestire il server in modo più semplice via web (ma non pensate che sia un sostituto del sistemista! Anzi, più è semplice accedere alle cose più è semplice introiare tutto per un utente inesperto…), cosi da poter installare alcune cose da una comoda interfaccia web e non dal terminale, loggandomi ogni volta via SSH, riservando tale pratica solo ad alcuni casi specifici di amministrazione.
Reimposto poi un bot Telegram, programmato alla vecchia maniera (niente webhook satanici, cari e semplici cromjob) e il server “fondamentale” è pronto a partire. Per installare le altre cose non fondamentali (ad esempio il bot di Wikipedia) ci sarà tempo.
Proprio a questo, comunque, servono piani di backup e disaster recovery: dovete sapere ciò che fa ogni server sulla vostra rete e avere una copia di ciò che vi serve a farlo ripartire.
Meglio questo o Raspberry Pi OS?
Come per ogni cosa… Dipende.
Ad un novizio consiglierei RPi OS, semplicemente perché:
- È più supportata
- Per le cose più “rasperrose” ha decisamente più tutorial “copia e fai” di qualsiasi altra distro
- Ha un ambiente desktop (mentre Ubuntu non lo ha di default, dato che la versione desktop è sconsigliata per qualsiasi Raspberry inferiore al 4)
Dopo essersi fatti le ossa può però aver senso passare a un altro sistema. Nel caso, Ubuntu Server ha un vantaggio enorme: gira ovunque ed è uguale.
Non che Debian sia troppo diverso da RasPi OS, eh, ma spesso installare Debian server è più difficile per un utente inesperto e possono comunque esserci differenze non da poco, mentre US garantisce più uniformità.
Inoltre, permette di slegarsi dall’idea di “come fare X con Raspberry Pi” e, semplicemente, chiedersi “come fare X”.
Pingback: Se non controllate le porte vi deve venire il cagotto per un mese [SDSC] – Computer Blog
Pingback: Fuck up halt [SDSC] – Computer Blog